La Champions! Se conoscete un modo migliore per riappacificarvi con il pallone che vi strattona giù dalla sdraio, tornando a pretendere la poppata stagionale, vi pregherei di tenervelo comunque per voi.
La Coppa dei Campioni è un'altra cosa. Cos'è che lega un'appiccicosa serata nella provincia padana a una noche brava sulle Ramblas catalane? È il
«Chi si imbranda la figlia del Boss? Schiappe!» |
Ora, tutte le fiumane di verbo e inchiostro delle settimane, che dico, dei mesi precedenti, su quanto il Barça sia la squadra più forte di sempre, sul progetto perfetto venuto da così lontano che Messi e compagnia cantante erano bimbi, sulla squadra imbattibile – concetto che prevede già l'intrigante caccia a chi sappia smentirlo –, potevano asciugarsi in quei 24 secondi serviti a una maglia bianca per fare uno? Dubitiamo. Più di noi, dubitano gli undici dipinti di blaugrana. E comincia la loro recita.
Passaggi, tocchi, ancora passaggi. E se vi sembra che la cosa sia pesante e viziata, perdonatemi, non sono qui per convincervi, ma restiamo due bestie diverse. Quella trama diventa ridondante senza mai perdere di leggerezza, di estasi, di tendenza all'altrove. E noi poveri mortali, che di questa cosa che chiamiamo Pallone per semplificarla cominciamo a pensare di non averci mai capito un'acca, non possiamo che ripetere, tipo mantra: «Non sbagliano una volta». E non sbagliano. Anzi, alzano il livello del gesto, come per dimostrarti che non conoscono il significato di difficile, lasciamo perdere quello di rischioso. Il Milan? Corre, lingua per terra, mangia la polvere, prima ci prova timidamente, poi recede da ogni belligeranza. In una parola: fatica.
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