Non credete a chi vi dice che non è vero. La Storia si fa con i Se, eccome.
Se il numero 10 degli altri è un piccoletto spettinato con la magia leggiadra nei piedi e il tuo 10 sta sulle spalle di Lass - figliolo del quale quanto di più leggiadro si possa dire è: "Diarra saltato ancora da Messi" - ecco, se le cose stanno così, non puoi nemmeno ritenerti vittima di ingiustizie.
Se invece, pur di lamentarti di tutto il mondo e far la guerra ai mulini a vento ma molto meno simpaticamente di Chisciotte, ti metti a fare il guascone sarcastico, finisci in gabbia, da lì spedisci i pizzini ai tuoi prodi e la sera dell'evento clou (rima con Mou) diventi un latitante e nessuno sa davvero dove sei, forse sarà pure che tutti ti cercheranno, ma con ansia non maggiore a quella impiegata in trent'anni per Provenzano. Dilemmi da Nanni?

Sì perché, se è vero - come è vero - che nel calcio non c'è giustizia (chiedete, nel caso, all'Arpino di Azzurro tenebra), il Barça suscita a noi fedelissimi un possesso di completezza e solletica una dimensione estetica che va oltre: laddove non c'è nulla e invece vien voglia di alloggiarci proprio questa sublime intesa tra le maglie catalane e la perfezione della fisica, della realtà, della gioia. La gioia dei Cules nell'arena del Camp Nou, gridare Olè intorno al campo verde, saltare per ore mentre la sfera accarezza sempre e solo i piedi dei tuoi, vedere la rete gonfiarsi e capire che è fatta.
E non servono spiegazioni, e se Guardiola filosofa, come fece un mese fa tornando a Brescia, che lui non sa che consigli dare per fare grande una squadra, lui, per vincere, usa Messi, spiegazioni nemmeno le andiamo cercando.
Guardiamo, godiamo, Finale.
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