15 maggio 2011

essere argentino. essere Soriano

Da Visioni carbonare, un testo a quattro mani di qualche anno fa dedicato a Osvaldo Soriano...

Se non vi è davvero mai capitato di scrivere un testo insieme a un caro amico, se proprio non avete mai provato la sensazione di intrecciare la carne delle vostre parole con le ossa delle sue (e nemmeno, sventurati, il contrario), dovreste lasciar cadere immantinente qualsiasi attività vi stia occupando membra e spirito in questi istanti e correre da lui/lei – oppure far suonare il suo telefono – e suggerirgli di rimediare prima possibile al vostro vuoto.


Per quanto riguarda me, questa fortuna l'ho avuta più volte e non smetterò mai di vantarmi delle sensazioni che le persone così coinvolte mi regalarono. Quella che segue è un prodotto a quattro mani, due voci, due spiriti e quattro occhi che apparve un certo mese di un dato anno su La Civetta.

Essere argentino: scoprirti figlio peronista di un dipendente pubblico della Patagonia che solo per dovere si è piegato a sottoscrivere la tessera del partito guidato da quel mentecatto di Perón. Essere argentino: non poter fare nulla per non sentire tuo padre che s’infuria contro la radio che trasmette i discorsi del generale, mentre tu nella tua camera preghi perché quella santa donna di Evita ti mandi un pallone il 6 di gennaio. Essere argentino: scrivere a Peròn, chiedere un dono a lui che ripete sempre che “i bambini sono gli unici privilegiati”, aprire tempo dopo un pacco e trovarci un pallone e le divise per un’intera squadra. Essere argentino: aver fatto goal al Gato Díaz, quello che aveva parato il rigore più lungo del mondo. Essere argentino: meritarti per ben due volte il titolo di campione del mondo di calcio, la prima volta per effetto delle manovre di un regime sanguinario, la seconda grazie alle prodezze di un folletto chiamato Diego Armando. Essere argentino: non avere il coraggio di dire una parola davanti a quel ragazzo con un cespo di ricci scuri in testa che con un’arancia fra i piedi è in grado di fermare il tempo e saturare lo spazio. Essere argentino: sentire il bisogno di andare di corsa a mettere sulla carta tutte le parole che il ragazzo con l’arancia ti ha paralizzato in gola e dare alla luce il tuo primo racconto sul pallone. Essere argentino: persuaderti che una partita di calcio contro una qualsiasi selezione inglese possa risolvere il problema delle isole Malvinas.
Essere argentino: sapere che tuo padre non crede affatto che tu possa fare il calciatore né tantomeno lo scrittore, che invece ti vorrebbe meccanico e, per non deluderlo, accettare di vivere per tre giorni nel garage di casa aiutandolo a smontare e rimontare un’automobile dal primo all’ultimo bullone (e guai se ne avanza uno!). Essere argentino: aver visto il tuo vecchio cadere e rialzarsi così tante volte che ormai, mentre lo guardi stanco e sconfitto, sei tu ad incoraggiare lui a non mollare, ché tanto tu sarai sempre là a mandargli una barca con le sigarette. Essere argentino: convincerti che la relazione che tu, falso console, stai intrecciando con la moglie dell’ambasciatore inglese sia al centro dello scoppio della guerra per quelle stramaledette isole Falkland. Essere argentino: prendere una sbornia colossale tracannando whisky in compagnia di un gorilla furioso col moccio al naso. Essere argentino: affrontare i pericoli di una rivoluzione in un paese straniero solo per l’orgoglio di poter innalzare al vento la bandiera bianca e celeste sulla quale il sole non tramonta mai. Essere argentino: ritrovarti chissà come e perché in una manifestazione sindacale in cui a gran voce si chiede il ritorno di Perón, non essere poi molto convinto che la voce che manda proclami di lotta da un registratore portatile sia proprio quella del grande generale e allora chiamare tuo padre perché possa confermarlo senza alcun dubbio.
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