Arp e il Vecio stanno ingobbiti come bestie ferite, a bordo del prato. Si scambiano battute dagli animi desolati: l’età li ha presi, la malinconia c’era già da sempre ma adesso ha fatto piazza pulita di ogni illusione, di ogni giustizia. Sullo sfondo una figura in tuta si agita guizzante e solitaria, si lascia osservare mentre fatica. I tre sono parte, ognuno con le proprie mostrine sulla divisa, dello stesso esercito, la campagna è il Mondiale di calcio. Arp trasuda whisky e letteratura, una sigaretta via l’altra, va predicando la disfatta imminente: Azzurri compagine di molli, le tante, troppe aspettative dopo la grandiosa prestazione di quattro anni prima assordano già con il tonfo dell’ineluttabile caduta, e dire che il girone presenta almeno una squadra cui il calcio è materia organica ignota. Se vi stanno fischiando le orecchie con un ritorno di vuvuzelas e quel disturbo all’altezza dello stomaco – ormai vecchio di un’estate – torna a ricordarvi Pepe che si mangia un gol fatto all’ultimo secondo, tirate il freno a mano, colleghi drogati di fútbol. Non siamo in Sudafrica e non è il 2010.
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