Il rebus che (non) ti aspetti – facile eh! – con l'aggiunta rocambolesca del raccontone d'autore, a rimorchio. La soluzione del rebus (ecco il perché della strana coppia) è espressione adatta a descrivere il presentarmisi tra i piedi con intervallo cadenzato, tipo valzer, del racconto di cui sotto. Non sto nemmeno a dirvi che testo sia, tanto lo sapete e sennò c'è Google...
rebus (5, 1, 7) |
Davanti alla legge c’è un guardiano. Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L’ uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. «Può darsi» risponde il guardiano, «ma per ora no».
Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per dare un’occhiata, dalla porta, nell’interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: «Se ne hai tanta voglia prova pure ad entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io».
L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finchè non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può far entrare. L’uomo, che per il viaggio si è provveduto di molte cose, dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: «Lo accetto soltanto perchè tu non creda di aver trascurato qualcosa».
Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l’ unico ostacolo all’ ingresso nella legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci del suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell’oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo.
Prima di morire, tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che ancora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può reggere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell’uomo di campagna. «Che cosa vuoi sapere ancora? – chiede il guardiano – sei insaziabile». L’uomo risponde: «Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessuno ha chiesto di entrare?». Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: «Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo».
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