quarta parte di Carbonara dolce, anteprima qui
Si partiva. Le lande teutoniche, attrezzate a festa per l’evento del nuovo millennio, sarebbero state ospitale teatro delle nostre vicende estive, ben meno nobili e solo parassite di quelle delle maestose spedizioni in marcia da 32 paesi. Con rapace opportunismo, avremmo beneficiato di una nazione con il sorriso tirato a lucido e i tappeti rossi stesi, certo non per noi, ma così era anche meglio, zero responsabilità. «Parla per te» mi avvertirono gli occhi funerei. «Eddài, sono giorni che sai dire solo questo». Aveva due lapidi in mezzo al viso, un corteo funebre. Finse di non aver sentito. «Francamente, se non mi dici cosa vuoi, ti metto in camera con un manico di scopa», incalzai. Il funerale continuava, in rispettoso silenzio.
Scriteriato, voleva giocare, adesso. Aveva un bel da fare, con la sua aria naturale da chissenefrega del mondo, per darla a bere, prima di tutto a se stesso. Ora che le partite della tournée si avvicinavano, la fiera elegante si trasformava in un animale allo zoo, tutta la bestialità repressa dall’incertezza. Il desiderio di correre libero, gonfiare il petto, squarciare gli avversari era viscerale e giovanile, che poi è lo stesso.
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